28-06-2017
L’infiammazione cronica del fegato, qualunque sia la causa (virale, alcoolica, ecc) conduce alla progressione e all’alterazione funzionale e anatomica dell’organo dapprima attraverso la formazione e l’accumulo di fibrosi con progressiva deformazione dell’architettura parenchimale culminante con la cirrosi e la predisposizione all’epatocarcinoma.
La fibrosi epatica, ovvero la sostituzione del parenchima epatico con matrice extracellulare (ECM) è l’aspetto principale del danno. Lo sviluppo della fibrosi epatica riflette l’alterato equilibrio fra produzione di matrice (fibrogenesi) e la sua degradazione (Fibrolisi). La matrice extracellulare (ECM), normale impalcatura per gli epatociti, è composta da collagene, glicoproteine e proteoglicani. La principale produzione di ECM è rappresentata dalle cellule stellate. In corso di danno epatico cronico, le cellule stellate (cellule di Ito) localizzate nello spazio perisinusoidale, vengono attivate da cellule quiescenti a miofibroblasti proliferanti e produttrici di collagene. Vari enzimi e citochine sono coinvolte nell’attivazione, tra cui TGF-β1, PDGF, Endotelina, Interleuchine ecc. Queste sostanze prodotte da epatociti, cellule di Kupffer e cellule endoteliali in risposta al danno tissutale perpetuano e mantengono la fibrogenesi.
L’accumulo di ECM in corso di malattia cronica del fegato non è un fenomeno statico ed unidirezionale, ma può essere controbilanciato dalla fibrolisi. La fibrosi rappresenta quindi il bilancio fra meccanismi di deposizione e degradazione dell’ECM: è caratterizzata da un aumento fino a dieci volte dell’ECM che comprende vari tipo di collagene, glicoproteine strutturali, proteoglicani solforati e acido ialuronico; una distribuzione istologica con deposizione iniziale della matrice soprattutto a livello della zona 3 perivenulare dell’acino vicino allo spazio sub endoteliale di Disse che determina la”capillarizzazione dei sinusoidi”, modifiche della struttura dei collageni (es. idrossilazione di prolina e lisina), della glicoproteine (variazioni della struttura corboidratica) e dei proteoglicani (modifiche del grado di solforazione). L’eccesso di ECM stimola la fibrolisi mediata da enzimi della matrice detti Metalloproteinasi.
Lo studio dei marcatori biochimici correlati alla fisiopatologia dell fibrosi epatica ed in particolare la secrezione e la degradazione della ECM, dovrebbe riflettere l’attività del processo di fibrogenesi/fibrolisi epatica ed in ultima analisi il rimodellamento dell’ECM.
La misura della sua estensione, lo stadio di fibrosi, rappresenta il più importante predittore di progressione di malattia che condiziona le scelte terapeutiche, può servire per valutare la risposta al trattamento ed infine determina la prognosi e il follow-up del paziente.
La biopsia epatica ha rappresentato per lungo tempo il “gold standard” per lo studio dello stadio della fibrosi epatica. Negli ultimi anni però è stata posta l’attenzione su i suoi limiti. Si tratta, in effetti di una procedura invasiva e dolorosa e in rari casi con sanguinamento interno. E’ anche una procedura costosa e non pratica che richiede almeno il ricovero in Day Hospital. Inoltre la biospia epatica presenta alcune limitazioni: come l’errore del campionamento e la variabilità di interpretazione. Un campione tipico di 1,5 cm rappresenta 1/50.000 parti di fegato e talora esso è ancor meno rappresentativo in presenza di cirrosi. Grazie a modelli computerizzati è stato stimato che un campione bioptico di 2,5cm dà un percentuale di errore del 25% che sale al 35% se il frustolo è standard di 1,5cm. Per evitare errore di campionamento sarebbe necessario prelevare frustoli più grandi di almeno 4cm, utilizzando quindi aghi più spessi con aumento delle complicaze correlate alla procedura. Infine l’errore di campionamento coinvolge sia lo staging, usualmente inaccurato che il grading usualmente sottostimato.
Considerate tali limitazioni e nella convinzione che l’accumulo di ECM non sia un fenomeno statico e unidirezionale si è andati alla ricerca di test strumentali non invasivi e biochimici che fossero accurati, riproducibili, ripetibili e facilmente eseguibili.
Il Fibroscan è un sistema elettronico con sonda ecografica modificata che contiene un vibratore a bassa frequenza e una unità di controllo. Il Fibroscan valuta mediante la tecnica di elastografia ad impulsi la fibrosi epatica misurandone la rigidità di una sezione cilindrica di tessuto epatico di 4cm di lunghezza e di 1 cm di diametro che si trova ad una profondità di 2,5 cm al di sotto della superfice cutanea. Queste dimensioni sono all’incirca 100 volte maggiore di un campione bioptico standard e dunque rappresentative dell’intero parenchima. L’accuratezza è operatore indipendente in quanto si effettuano dieci misurazioni, modificando la posizione della sonda sullo spazio intercostale prescelto. Il campione per essere affidabile deve essere almeno pari al 60% del numero totale delle misurazioni acquisite. L’elasticità (liver-Stiffness) normale ha uno score < a 5,1 kPa (kPascal), uno score superiore a7,6kPa denota la presenza di fibrosi significativa (F1-F2 metavir).
Uno score intermedio tra 5,1 e 7,6 kPa va correlato con la clinica del paziente (F0-F1 metavir).
Il fibroscan è poco utile per fibrosi comprese tra F2 e F3 metavir. Per un fegato gravato da fibrosi severa/cirrosi (F4 metavir) il fibroscan è determinante rispetto alla biopsia, che in tal caso è da correlare con le condizioni cliniche del paziente. Bisogna tener presente anche la IQR (variabilità delle misurazioni effettuate) che non deve superare il 30% rispetto alla mediana (es. un paziente classificato come cirrotico (F4) la cui liver-stiffness si di 15kPa la IQR dovrà essere <4,5)
Le onde elastiche non si propagano nei liquidi, quindi non utile in presenza di ascite, non utile in presenza di spazi intercostali stretti e nei grandi obesi con BMI superiore a 28. Il tessuto adiposo attenua sia l’onda elastica che gli ultrasuoni. In realtà l’obesità non è un ostacolo di per sé, ma è piuttosto lo spessore della parete toracica con i pannicoli adiposi che ammortizzano l’onda elastica e riflettono gli ultrasuoni.
L’esame è non invasivo, facilmente ripetibile, soprattutto nella valutazione di terapie di lunga durata e nel controllo periodico nel pre e post trapianto epatico.